In queste settimane, in cui ad ogni fine giornata conteggiamo i decessi nella nostra città, regione, nazione, Helin Bolek dei Grup Yorum, la cantante turca che ha dato parola agli oppressi, se ne è andata in silenzio, sacrificando la sua voce dopo duecentottantotto giorni di digiuno, protestando contro l’oppressione nel suo paese, la Turchia.
Il significato del suo gesto è indecifrabile secondo una logica razionale: divide e turba, stimola la nascita di una nuova morte dentro ognuno di noi.
“Finché io non sarò morto, nessuno potrà garantire di conoscermi veramente, cioè di poter dare un senso alla mia azione che dunque, in quanto momento linguistico, è mal decifrabile”, scriveva Pierpaolo Pasolini in “Empirismo eretico”.
In ogni sacrificio, in ogni cura e in ogni alchimia si celano “morte”, “sintomi” e “perdite” messaggeri di una vita che cerca di rinascere, di attraversarci e parlarci con il linguaggio dell’ombra.Ascoltare l’ultimo canto di Helin e lasciarci attraversare dalla sua ombra, al di là di un raziocinante disincanto, credo sia il mezzo per sentire nel suo atto, razionalmente oscuro, il contatto, la sua ultima carezza agli oppressi, la sua ultima carezza a tutti noi.
Il gruppo di Helin Bolek è accusato di terrorismo e ne è attualmente impedita l’espressione artistica. Altri membri sono tutt’ora in carcere e in digiuno.
Attraverso il suo gesto, in queste ore, milioni di persone in tutto il mondo sono venute a conoscenza dell’oppressione e della censura attualmente in atto in Turchia.