Ho incontrato per la prima volta Svetlana Topalova nel 2016, durante uno dei miei viaggi in Donbass. Mi aveva mostrato l’atelier dove, anche durante i bombardamenti più feroci, aveva continuato a creare i suoi abiti, protagonisti di tante sfilate.
Svetlana è una stilista, vive a Donetsk. In “Donbass. La guerra fantasma nel cuore d’Europa”, il mio reportage narrativo sul conflitto ucraino, le ho dedicato un capitolo dal titolo “L’atelier di Lenin”.
Ci siamo risentite in questi giorni in cui politici e media occidentali, dopo otto anni di quasi totale silenzio, hanno iniziato a parlare della guerra in Donbass, fomentando la paura per una supposta aggressione russa, attraverso un meccanismo oliato, capace di generare panico e alimentare l’odio verso un presunto nemico.
Dunque, mentre in Occidente è in atto il tentativo di manipolare coscienze attraverso sistemi di disinformazione basati sulla paura e sulla semplificazione della realtà del conflitto bellico, in Donbass, alla luce dei crescenti bombardamenti, il presidente della Repubblica Popolare di Donetsk ha invitato donne, anziani e bambini all’evacuazione verso la Federazione Russa. Negli scorsi giorni, colonne di pullman si sono diretti verso i centri profughi nella regione di Rostov.
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